Storia del ritrovamento e controverso abbattimento delle torri Artenisi, Guidozagni e Riccadonna nella Bologna di inizio Novecento (1916-1919)
“Du (gust) is megl che uan" recitava nel lontano 1995, ai suoi esordi in un famoso spot pubblicitario, uno dei più noti attori bolognesi … e se, concedendoci un volo pindarico e ancora più indietro nel tempo, le torri della nostra città invece che due, Asinelli e Garisenda, fossero state 4 o addirittura 5? Quanto sarebbe cambiato il volto del nostro centro storico e soprattutto il simbolo e immagine di Bologna nel mondo? Non lo sapremo mai del tutto ma qualche suggestione la avremo conoscendo meglio, attraverso fonti e documenti storici, un momento molto significativo dell’evoluzione dell’urbanistica cittadina, nel periodo tra la fine dell'Ottocento e il primo ventennio del Novecento.
Tutti noi sappiamo che le torri a Bologna sono numerose (se ne contano 24) ma soprattutto lo sono state ancor di più nel corso dei secoli (circa un centinaio tra il XII e XIII secolo), fino all’epiteto diffuso di Bologna come “Manhattan del Medioevo” oltre che di "Turrita". Ma in realtà sono pochi i bolognesi (da sondaggi diretti che stiamo facendo) e quasi nessuno tra i turisti e coloro che oggi vi risiedono e vivono provenienti da altre città, che conoscono la storia che racconteremo e sanno che la piazza che oggi ospita il monumento principe della città avrebbe potuto avere un profilo molto diverso.
Il Mercato di Mezzo e il Piano regolatore del 1889
Il Mercato di Mezzo era un dedalo di vicoletti e piccole piazze, nel cuore pulsante di Bologna. Con un impianto medievale, brulicava di arti e mestieri e vi risiedevano le relative corporazioni (tra le quali i Beccari, Mercanti, Falegnami, Pittori, Bombasari, Capestrari, Strazzaroli, Pellicciai). Avviato da uno studio del 1860 dell’ingegnere architetto Raffaele Faccioli, il piano regolatore della città fu approvato nel 1889 e prevedeva vari interventi. I primi, fra il 1902 e il 1904, riguardarono la demolizione quasi completa della cinta muraria del XIV secolo di cui furono conservate solo le porte originarie e qualche breve tratto. Altri interventi riguardarono proprio l’allargamento di via Mercato di Mezzo e la realizzazione di un nuovo grande asse centrale rettilineo (denominata via Rizzoli dal maggio 1880), con il conseguente allargamento delle vie Orefici e Caprarie e la costruzione di nuovi edifici. In quest’area, a partire dal 1910, furono demoliti interi isolati e scomparvero le stradine più corte e anguste i cui nomi facevano riferimento alle attività artigianali e commerciali che le contraddistinguevano. Solo le vie Caprarie (macellerie), Calzolerie, Orefici, Drapperie e Pescherie si salvarono.
Riscoprire delle torri secolari
Nei pressi di Piazza della Mercanzia, di fronte alle case Reggiani, proprio durante le demolizioni del terzo lotto di edifici furono rinvenute, inglobate tra le case, tre torri: la Artenisi (o Artemisia o Artenisia), che si trovava a metà della scomparsa via Zibonerie, sul lato orientale; la Guidozagni (o Conforti), di cui rimaneva il solo arco inferiore, e la Riccadonna (già Pepoli), visibile e incastonata tra gli edifici nel fianco ovest di Piazza della Mercanzia. Nell'agosto 1916 il Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti ordinò di “trarne accurati rilievi fotografici”.
La carta manoscritta in collezione BolognArt che segue, firmata dall’allora Ingegnere Capo del Comune e datata 28 gennaio 1918, ci mostra il nuovo assetto della città in via di realizzazione, da Palazzo Re Enzo fino a Piazza Ravegnana attraverso via Rizzoli, via Orefici e via Caprarie. Ed ecco vicino alle torri Asinelli e Garisenda, disegnate sulla pianta, la torre Artenisi e la torre Riccadonna.
Collezione BolognArt
Collezione BolognArt
Continuiamo il nostro racconto e dalla cartografia passiamo alla documentazione fotografica. In primis un'immagine storica, giunta a noi attraverso una rara cartolina viaggiata nel maggio 1918 (Collezione BolognArt). Il titolo è eloquente: “Le quattro torri di Bologna”.
Collezione BolognArt
In realtà, come abbiamo detto, le torri erano addirittura cinque. La più malmessa e prima a essere abbattuta fu la torre Guidozagni nell’aprile 2017. Anche se non visibile o citata, era in realtà ancora in piedi nella fotografia della cartolina, che evidentemente fu scattata almeno un anno prima della sua spedizione postale. Lo testimoniano altre immagini che mostrano la torre Guidozagni visibile quando attorno alle “tre torri” erano già state completamente demolite, a differenza della cartolina precedente, tutte le vecchie case e i palazzi circostanti.
Seguono altre meravigliose immagini storiche – una fotografia originale dall'archivio SBAP del tratto finale del Mercato di Mezzo e una serie di cartoline dalla collezione di Fausto Malpensa - che mostrano come apparivano le 4 torri, già più o meno isolate dagli edifici che le circondavano e in parte inglobavano, e prima della “decisione finale”.
Archivio fotografico SBAP: Bologna/ Gruppo delle torri Artenisi e/ Riccadonna dopo la demolizione/ delle case adiacenti/ veduta da Piazza Ravegnana - ca 1916 - ante 1919/01/20 - Veduta delle torri Riccadonna e Artenisi (negativo) di Bolognesi Orsini (ditta)
Collezione Fausto Malpensa
Collezione Fausto Malpensa
Collezione Fausto Malpensa
Il dibattito del tempo: "conservatori" contro "picconatori", "sacrilegio" o demolizione di "mozziconi di torri"?
Il Piano regolatore con la sua applicazione rappresentò sicuramente uno stravolgimento per Bologna, come abbiamo già avuto modo di accennare: demolizioni e sventramenti di interi isolati, nuove costruzioni, l'evacuazione dei residenti, delle attività commerciali, artigianali e delle corporazioni. In questo contesto, le tre torri rinvenute generarono un acceso dibattito: da una parte i "conservatori delle testimonianze storico-artistiche" e dall'altra "i demolitori dei 'mozziconi di torri".
Chi fu contro e chi pro?
A favore della conservazione si schierarono il Comitato per Bologna storico-artistica (come ricorda la lastra commemorativa collocata in Via Castiglione 6 nel 1958), la Commissione per la conservazione dei monumenti dell'Emilia e la Società Francesco Francia.
Al dibattito partecipò anche il Vate, Gabriele D’Annunzio, che scrisse una famosa lettera all’amico professore di filosofia Giorgio Del Vecchio che aveva lanciato una petizione popolare per la conservazione delle torri. La lettera, inviata il 21 aprile 1917 e pubblicata nel numero mensile del Touring Club con il titolo "Per la salvezza di tre storiche torri bolognesi" (23 aprile 1917) e dal Corriere della Sera il 27 aprile successivo, riportava:
“Ed ecco Bologna minacciata di sacrilegio. Uomini mercantili, ben più aspri di quelli che frequentavano la bellissima loggia vicina, vogliono diroccare la testimonianza dell’antica libertà armata per ridurre al valore venale il suolo e per gettarvi le fondamenta di chi sa quale enorme ingiuria.”
Membro del Comitato per Bologna Storico-Artistica, un altro grande sostenitore della conservazione fu l’Architetto Alfonso Rubbiani. Il suo piano alternativo, proposto insieme all’Ingegnere Gualtiero Pontoni nel 1909, mirava a salvare le torri e gli edifici di via Orefici e del Mercato di Mezzo ma venne respinto dall’Amministrazione comunale.
Inutilmente si battè anche Corrado Ricci, nume tutelare delle Belle Arti del primo quarto del XX secolo e Direttore centrale delle Antichità e Belle Arti, come testimonia anche il ricco carteggio avuto insieme all’Architetto Guido Cirilli, anch’egli a favore del salvataggio, insieme tra gli altri a Manfredo Manfredi, al senatore Pompeo Molmenti e al sovrintendente di Bologna Luigi Corsini.
“Cinque o sei fanatici ammiratori e conservatori di tutto ciò che è antico, solo perché è antico”, persone “infelicemente colpite da archeologica, pietosissima mania!”, così li definirà, sulla pagina del foglio “La Striglia”, l’Ingegner Giuseppe Ceri, “picconatore” e massimo sostenitore della demolizione di quei due “mozziconi”.
Giuseppe Ceri e la sua "Striglia" - Collezione Fausto Malpensa
Il 4 maggio 1917, sulla “Striglia”, Ceri scrisse con veemenza contro tutti i sostenitori del salvataggio. Le opinioni del Vate furono etichettate come “dannunziane coglionerie”; gli “egregi signori Cirilli e Manfredi” definiti rei di aver ordinato “al sopraintendente dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti emiliani, di isolare codesti mozziconi [i.e. le due torri Riccadonna e Artenisi] e rafforzarne uno, perché minacciante rovina, allo scopo di vederne il prospettico effetto; il quale effetto chiaro si vede nella unita stampa, e meglio sulla faccia del luogo lo si vede e lo si deride da bene intenzionati intelligentissimi osservatori”. Ceri commentò anche in questo modo: “La torre degli Asinelli è alta metri 97.20 / La torre A dei Riccadonna è alta metri 20. – / La torre B degli Artenisi è alta metri 22. – / Da queste misure si arguisce che i due mozziconi Riccadonna ed Artenisi non ponno che ridicolissimamente stare in compagnia degli Asinelli [...]”. Il bizzoso ingegnere non mancò anche di strigliare l’allora sindaco di Bologna, Francesco Zanardi, soprannominato l’“Annonario”, colpevole di essere troppo “tentennìno” e che sollecitò aspramente ad agire.
La decisione finale: l'abbattimento delle torri
Le ragioni dei conservatori ebbero la peggio e con esse la secolare storia delle torri. Nel gennaio 1919 il Comune avviò l’abbattimento adducendo motivi di sicurezza e viabilità e la necessità di dover completare la sistemazione del centro storico per evitare "un disagio insopportabile per la viabilità e il commercio", per il decoro cittadino, per dar lavoro ai disoccupati e poter procedere alla vendita dell’area.
Una lettera di Corrado Ricci, spedita all’Ingegner Guido Zucchini, allievo di Alfonso Rubbiani, che precedette di poco tempo l’abbattimento riportava:
“Ch. Ing. Sì, non ci è che disperare! Il Ministero, non avendo possibilità giuridica per impedire la demolizione delle torri, è giunto ad offrire centomila lire al Municipio pur di salvarle. Ma che cosa vuole sperare quando persone di Bologna colte ed avversarie dell’attuale amministrazione sono giunte a dire al Ministro che la conservazione di quei due 'mozziconi' era una 'buffonata'? La bellezza artistica di una città è il frutto dell’amore dei cittadini. Altro che leggi e regolamenti!”
A gennaio 2019 una delibera del Comune sancì l’inizio della fine (telegramma per Roma del soprintendente ai Monumenti dell'Emilia Luigi Corsini del 20 gennaio 1919: “Stamane Comune Bologna iniziata demolizione Torre Artenisi”). Il Comune, nel suo operato, ebbe il saldo appoggio della Società degli Ingegneri e Architetti che aveva portato avanti il proprio progetto e prevalsero ingenti interessi economici alla base della volontà di demolire per ricostruire.
Nel marzo del 1919 un disegno satirico di Guido Montanari (conservato in Archiginnasio), intitolato “La demolizione delle Torri Riccadonna e Artenisi”, raffigurava l’operazione come praticamente conclusa: sui monconi dei due edifici gli operai armati di piccone lavorano alacramente mentre il Professore Giorgio Del Vecchio viene rappresentato in maniera caricaturale.
Va (purtroppo) ricordato che con le tre torri citate, sempre tra il Mercato di Mezzo e l’attuale Piazza Re Enzo nelle aree destinate alla costruzione dei primi due lotti, erano state già abbattute a inizio ‘900 anche le torri Atticonti, Tencarari e Tantidenari (detta “dei Telefoni” per il traliccio a cui erano allacciati i fili della prima compagnia telefonica bolognese).
E voi, conosciuta questa storia, con chi vi sareste schierati? Per quale posizione avreste parteggiato da cittadini bolognesi viventi in quegli anni? Vi immaginereste oggi dire a un amico "Ci vediamo alle Cinque Torri"?
Sitografia
Ringrazio gli amici Fausto Malpensa, per la consueta cortesia nel mettere a disposizione il suo prezioso materiale documentario e Carlo Pelagalli, sempre disponibile a suggerimenti e pareri competenti.